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uno che sotto la tonaca, vestisse da soldato: è lieto, è giovane, si chiama fra Pantaleo da Castelvetrano. Anche un frate non è di troppo tra noi; dà risalto al nostro piccolo campo. Salvator Rosa avrebbe pagati un occhio que’ sette, che combatterono a Calatafimi. Forse, buttata la tonaca, sono ancor qui.
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Dianzi, mentre me ne andava giù, cantando un’arietta da cacciatori, a portare un ordine del mio capitano, incontrai un picciotto armato, che mi fermò gridando: — Qui si canta e lassù si muore! — E mi narrò, che nel combattimento di poche ore prima, era morto Rosolino Pilo lassù; e mi additava i colli sopra Monreale. Morto d’una palla nel capo, mentre scriveva due righe per Garibaldi. Quel povero picciotto piangeva, narrandomi il fatto; e come capi alla parlata che io non sono siciliano, mi chiese mille perdoni per avermi fermato. Mi pregò di alcune cartucce, ma io, delle undici che mi rimangono non ne volli donare, e lo lasciai la incerto e mortificato.
21 maggio. Parco.
Mentre i miei panni stanno asciugando al fuoco, scrivo colla testa intronata dalla gran fatica di questa notte. La padrona di casa, buona vecchierella,