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notte così piena d’avventure! A un tratto ci fermammo. — Che c’è? — Nulla. Si ha a dormire qui. — Come si chiamano queste quattro casupole? — Pioppo. — E seguitando per questa via, dove si va? — Prima a Monreale, poi a Palermo. — Tanto valeva restare al Passo di Renna — mugolò Gaffini, che trova sempre a ridire su tutto. Ma entrò anche lui colla compagnia sotto quel gran portico, dove fummo chiusi come una greggia. Ci coricammo e zitti.
Prima dell’alba, eravamo già su, colle armi in ispalla.
Un’alba così bella, che uno, avrebbe voluto disfarsi per andar confuso in quei colori di cielo e in quelle fragranze.
Alla nostra sinistra, avanti, verso Monreale, sui colli di San Martino, si udiva una moschetteria fitta, crescere, avvicinarsi; poi vedemmo il fumo, e i nostri combattere indietreggiando pei greppi. I borbonici usciti da Monreale gli avevano assaliti, e tentavano di girare la nostra sinistra, spingerci per i monti al Passo di Renna.
Riuscendo ci avrebbero schiacciati.
— Che oggi si debba avere la peggio? — dicevamo noi.
Passarono alcune Guide di galoppo, tornando di verso Monreale. — Che c’è di brutto? — Nulla. —
Passò il Generale collo Stato Maggiore di mezzo trotto; e la moschetteria lassù continuava. Quelli che si ritiravano pel monte, lenti, ostinati, erano i