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di loro cavalli, che stati in agguato sino a quel momento, li raggiunsero a briglia sciolta. Dal campo, stemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimi, grigia lassù a mezza costa del morite grigio, e perdersi nella città. Ci pareva miracolo aver vinto. Si mise un vento freddo gelato. Ci coricammo. Era un silenzio mestissimo. Si fece notte in un momento, ed io con Airenta e Bozzani ci addormentammo in un campicello di grano, accarezzati dalle spighe curve sui nostri corpi.
Stamane, quando suonarono la sveglia, rompeva appena l’alba, ma qualche allodola cantava già alta nell’aria. Credeva che si dovesse marciare all’assalto della città, perchè ieri sera intesi il Generale parlarne con Bixio. Ma nella notte era venuta gente da Calatafimi, ad annunziare che i regi partivano alla volta di Palermo. Allora volli fare un giro pel campo.
Ritrovai Sartori là ancora dov’era caduto. Nessuno lo aveva toccato, ma pareva morto da tre giorni. Le sue guancie erano divenute smunte, i suoi capelli tesi, la pelle d’un giallo che non si poteva guardare. Mi si strinse il cuore, e non ebbi forza di dargli l’ultimo bacio. Egli lo avrebbe fatto, egli mi avrebbe seppellito colle sue mani!
Ora, di qui, io veggo il colle quieto e deserto. Ieri fin le pietre parevano là vive ad aiutarci! I nostri morti che giacciono su quei dossi, sono più