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là, in una mischia stretta e terribile e poi sparire. Ma Giovan Maria Damiani delle Guide potè afferrarne uno dei nastri e strapparlo; gruppo michelangiolesco lui e il suo cavallo impennato, su quel viluppo di nemici e di nostri. Mi rimarrà dinanzi agli occhi fin che avrò vita.
In quel momento i regi tiravano l’ultima cannonata, fracellando quasi a bruciapelo un Sacchi pavese; e fu da quella parte un urlo di gioia, perchè il cannone era preso. Poi corse voce che il Generale era morto; e Menotti ferito nella destra correva gridando e chiedendo di lui. Elia giaceva ferito a morte; Schiaffino, il Dante da Castiglione di questa guerra, era morto, e copriva la terra sanguinosa colla sua grande persona.
Quasi sulla vetta, vicino alla casina, mentre io passava, riconobbi ai panni più che al viso il povero Sartori. Certo era morto fulminato, perchè cinque minuti prima lo avevo visto salire, e mi aveva salutato a nome. Giaceva sul lato sinistro, tutto attrappito e coi pugni chiusi. Era stato ferito nel petto. Caddi sopra di lui, lo baciai e gli dissi addio. Povero morto! Negli occhi spalancati, nella fisonomia spenta, gli era rimasto come un desiderio di respirare una ultima fiatata di quell’aria di guerra. Mantenne da prode la sua parola di Talamone, e quanti conoscemmo Eugenio Sartori da Sacile, parleremo a lungo di lui.