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262 le guide dei mille


gioia. Ma egli non ebbe la vita allegra del personaggio fantastico del Goethe; visse puro e austero tutta la giovinezza, occupato d’un solo pensiero, l’Italia, che s’era presa quasi per amante. Da guida, a cavallo, pareva un Puritano di Cromwel rimasto vivo a girare il mondo, per dar un’idea dei suoi tempi e del suo Paese.

Forse mentre ne scrivo, conversa egli nella sua Mantova con Ermogene Gnocchi d’Ostiglia, vecchio d’un anno più di lui; ma non parleranno delle loro campagne di guerra, perchè son di quella gente che fa e tace. Era a quei tempi il Gnocchi un uomo arcigno a vederlo, bonario a parlargli e s’indovinava che nulla gli era più gradito che l’essere adoperato nei rischi. A cavallo era sempre, e vi pareva nato; sempre pareva stesse con l’orecchio teso alla voce d’un superiore, e sempre sulle sue labbra fosse pronta una parola: «Comandi!».

Giovinetto a confronto loro era Tommaso Rizzotto, paesano del Nuvolari; ma dell’età di questo e gran cavallerizzo come lui: li osservava e sṛ compiaceva in sè Giambattista Tirelli da Malco, che morì a Milano del settantotto.

E poi venivano quelli di mezza età, Carlo Candiani, milanese, sui trentadue anni, un gigante; il veronese Pietro Fiorentino di trentacinque; Luigi Martignoni da Lodi, di trentatre. E ora, pensando ad essi, mi rappresento, tali e quali dovettero