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fatto un colonnello di dragoni, da lanciar col suo reggimento a cavallo, per la breccia, in una città bombardata, come entrò in Tarragona il padovano Schiassetti.

Dopo il Nullo, per mirabili qualità di soldato a cavallo (gregario o capitano, per lui era lo stesso), veniva Giovan Maria Damiani, uomo di ventott’anni, faccia che faceva desiderare d’essergli amico, ma portamento che dava soggezione, come d’uomo difficile a lasciarsi accostare. Lo ammiravano tutti, gli parlavano pochi; si sapeva che a sedici anni aveva combattuto a Novara; si diceva che aveva visto un fratello a morir sul campo, e che aveva conosciuto quel che volesse dire il dover portar alla madre una notizia così dolorosa. Del resto, egli non si curava che di operar fortemente, e fu sempre uguale a sè tanto a Calatafimi, quando strappò dalla bandiera tricolore uno dei nastri su cui era scritto «Unità» nel momento che caduto Schiaffini, l’alfiere marinaio, quella nostra insegna rimaneva in mano ai Napoletani; uguale a sè al Volturno, quando la mattina del 1° ottobre, sulla via da Santa Maria di Capua a Sant’Angelo, dove arrivò, come l’uragano, con le sue sessanta Guide, e salvò Garibaldi. Inconsapevole del suo valore, sdegnoso, e solitario, sotto la Dittatura poteva divenire quel che avesse voluto, colonnello o forse di più; invece rimase un sem-