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a calatafimi 251


stata legione. Del resto Nino c’era, anzi se lo sentivano dietro, lì alle spalle, capitano della prima compagnia dei Cacciatori dell’Alpi. Dunque per quel momento era come fosse stato con essi; in qualunque circostanza vicino o lontano, nella battaglia, con essi sarebbe stata, se non la spada, l’anima di lui.

Ecco il villaggio di Vita, ecco le Guide che tornano di trotto a dire che il nemico è in posizione, ecco il colle. Salgono; e di là da quel colle vedranno. E coi Carabinieri salirono tutti.

Agili, sereni, sicuri si piantarono in faccia ai Napolitani, sul pendio del colle che fronteggia quello del Pianto dei Romani, dove i nemici formicolavano.

Si piantarono ed aspettarono. Avrebbero voluto lanciarsi come falchi; però il Generale avea ordinato di non far fuoco; egli stesso guardava aspettando. Chi sa che cosa passava in quel momento nella sua mente? Ma la sua volontà era legge. E però, quando i superbi Cacciatori napolitani dell’ottavo battaglione discesero dal Pianto dei Romani a provocare, e cominciarono a tirare dal basso in su contro le prime linee di Garibaldi, i Carabinieri stettero un pezzo muti a quel fuoco, quasi studiando l’abilità dei tiratori nemici; poi cominciarono essi coi loro colpi infallibili. Pochi tiri, ma tutti al segno. I Cacciatori napoletani oscillarono. E allora giù, balzando come tanti tigrotti