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250 i carabinieri genovesi


quasi femminea del Sartorio, dalla parola grave del Mosto a quella scintillante e balillesca del Canzio, c’erano tutte le note della vita. E tutti erano giovanissimi quei Carabinieri, tutti, eccetto che il sergente Burlando che aveva trentassett’anni e Luca Delfino, che, nato nel 1807, si era messo ancora a quella prova da semplice gregario, come uno che avesse voluto andare a morire d’una palla, piuttosto che invecchiare sin chi sa quando e finire in un letto. Veramente l’idea della patria gli aveva mantenuta la giovinezza, ed era andato laggiù per amore. Degli altri soltanto due toccavano i trenta, Onesto Faccini e Domenico Finocchietti; i più giovani non avevano o passavano appena i venti anni, come Capurro, Carbone e Stefano Dapino biondo e bello e di gentile aspetto; quasi fanciullo era il Galleani minore, che aveva appena diciassette anni, e andava a fianco d’un suo fratello che n’aveva poco più di venti. Marciavano per la valle, e vestiti come tutta la spedizione dei loro panni alla paesana, sotto un certo aspetto potevano parere un corteo nuziale: parlavano il loro dialetto che a momenti scatta di collera, ed era così caro e parlato così volentieri da Garibaldi, che l’addol civa, mentre sulle labbra di Nino Bixio guizzava come la saetta. E forse pensavano che se oltre il Mosto e il Savi avessero avuto alla loro testa anche Nino, la loro piccola compagnia sarebbe