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a calatafimi 249


cavaliere del Santo Graal, a chiudersi nell’isola; e quel giorno gli davano campo franco.

Camminavano adunque i Carabinieri genovesi alla testa della colonna, e innanzi, loro comandante, andava Antonio Mosto, che mostrava più anni assai di quelli che aveva. Barba piena e lunga, portamento incurante di parere, sguardo acuto ficcato lontano traverso gli occhiali a suste d’oro; era qualcosa tra un asceta e un archeologo che da quelle parti andasse cercando ove fu Segesta. Quel che valesse per fegato e cuore, chi non lo sapeva, lo indovinava.

A fianco al Mosto e suo luogotenente marciava Francesco Bartolomeo Savi, uomo piuttosto sopra che sotto la quarantina, filosofo e classicista, mazziniano come lui, per altezza di sentire, e austerità di vita uno dei più somiglianti al Maestro.

Il manipolo non aveva altri ufficiali. Ma contava un furiere come Giuseppe Belleno, due sergenti come Antonio Burlando e Stefano Canzio, due caporali come Stefano Cervetti e Giuseppe Sartorio, dei quali si può parlare senza tema d’adulare neppure i due che vivono ancora, perchè chi li conobbe sa quali prodi furono e s’inchina volentieri al loro valore.

Dovevano sentirsi d’animo ben sicuro i militi di quel manipolo, inquadrati in quella cornice! Dall’anima severa del Savi a quella ingenua e