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Ho quasi un capogiro. Sono ancora pieno di quel che ho vedute, scrivo...
Una casa bianca a un gran bivio, dei cavalieri rossi e dei neri mescolati insieme, il Dittatore a piedi; delle pioppe già pallide che lasciavano venir giù le foglie morte, sopra i reggimenti regolari che marciavano verso Teano, i vivi sotto gli occhi, e nella mente i grandi morti, i romani della seconda guerra civile, Silla, Sertorio, che si incontrarono appunto qui, figure gigantesche come quei monti del Sannio là, e che forse non erano nulla più di qualcuna di quelle che vedo vive. Cosa ci vorrebbe a fare lo scoppio d’una guerra civile?
A un tratto, non da lontano, un rullo di tamburi, poi la fanfara reale del Piemonte, e tutti a cavallo! In quel momento, un contadino, mezzo vestito di pelli, si volse ai monti di Venafro, e con la mano alle sopracciglia, fissò l’occhio forse a legger l’ora in qualche ombra di rupi lontane. Ed ecco un rimescolio nel polverone che si alzava laggiù, poi un galoppo, dei comandi, e poi: Viva! Viva! Il Re! Il Re!
Mi venne quasi buio per un istante; ma potei vedere Garibaldi e Vittorio darsi la mano, e udire il saluto immortale: «Salute al re d’Italia!». Eravamo