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pel mondo, dopo la caduta della Repubblica romana, adorando e sperando. Quello con gran barba, un po’ curvo, vestito di scuro, era De Flotte. Camminava a lato di Specchi, e come vecchi amici parlavano tra loro. De Flotte è una di quelle persone la vita delle quali si indovina alla mestizia serena, che hanno in tutto l’essere: e la fantasia vede la croce sotto il cui peso camminano stentando. Egli, rappresentante del popolo quando il colpo di Stato si gettò sopra Parigi, stette fino all’ultimo della resistenza, poi esulò. Credo che fosse ufficiale di marina. Qui non è che un uomo di buona volontà che rispose alla chiamata d’Italia come i Polacchi, gli Ungheresi, tutti i generosi d’altre patrie, che ci hanno portato le loro spade gloriose.

Vidi Nicola Fabrizi, una figura da Condottiero biblico. Se quest’uomo fosse comparso in un congresso di Re, a domandare giustizia per l’Italia, i Re si sarebbero alzati a riverire in lui il popolo che può dare un cittadino della sua sorte. Semplice, non mai accigliato, pare che spanda intorno un’aura di benevolenza; passa, e si vorrebbe mettersi a camminargli dietro, sicuri d’andar con lui a buona meta. Se un fanciullo gli si abbracciasse alle ginocchia in un momento che per Fabrizi fosse di vita o di morte, egli si chinerebbe a carezzarlo. Dai tempi di Ciro Menotti, va innanzi costui! Ha creduto, gli è cresciuta la fede ogni dì; non si è