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pigli il singhiozzo, stenta a non farsi scorgere. In verità egli è molto giù della vita. Oh che storie, che lutti, che vedovanze del core!
Venni via afflitto. E per contrasto trovai che correva su quel frullino del figliuolo di Ragusa, sempre nelle nostre gambe vispo, felice. Suo padre, che conduce l’albergo da gran signore, ne’ giorni del bombardamento tenne corte bandita per noi, chi avesse voluto passar da lui a ristorarsi. Ma c’era ben altro da fare, e pochi vi possono essere capitati: tuttavia ce ne furono, ed io so d’uno che ci deve aver fatto la figura di Margutte.
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Curvetto, piccino, tarchiato, passo da marinaio, capelli bianchi e lunghi, barba fatta, indovinata per parere quella del Generale; Gusmaroli, il vecchio parroco mantovano, può dare un’idea di quel che sarà Garibaldi fra una ventina d’anni.
L’ho ben guardato, è proprio così. Ed egli che sa di somigliargli un poco, ne gode e si riscalduccia in tale compiacenza; egli nei tre giorni si atteggiava. I picciotti che lo vedevano comparire sulle barricate qua e là, gli gridavano: Evviva Garibaldi! E sotto gli occhi di lui combattevano e morivano volentieri, credendolo il Dittatore.