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6 giugno.

Questi marinai della squadra inglese, ci fanno cera più che i nostri del Govèrnolo e della Maria Adelaide. Verso sera quando andiamo barcheggiando, i Francesi, gli Austriaci, gli Spagnuoli, i Russi, persino i Turchi ci sono! tutti ci guardano curiosi, ma zitti. Invece gli Inglesi ci chiamano, ci tirano su a occhiate sulle loro navi, e noi si sale, accolti come ammiragli. Non hanno bottiglia che non vuotino con noi; non han gingillo che non ci offrano; non c’è angolo della loro nave che non ci facciano vedere. Stiamo con essi dell’ore; belli o brutti ci vogliono ritrarre a matita; e non ci lasciano venir via senza essersi fatto dare il nome da ognun di noi, scritto di nostra mano. M’è nato un sospetto. La Sicilia è bella, è ricca, e un mondo. Oramai tra tutti l’abbiamo, o quasi, staccata dal Regno... Se non si riuscisse a fare l’unità, gioco che la mano per pigliarsi l’isola sarebbero visi di stenderla gli Inglesi... — Non ci han qui nel porto la nave ammiraglia che si chiama Hannibal?...

7 giugno.

Nella gran sala della Trinacria si desinava una allegra brigata, a festeggiare un drappello d’animosi venuti da Malta, su d’una barca peschereccia.