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e forte giovane, senza uno di noi vicino, da dirgli: «Ne parlerai a mio padre!»
Corremmo ai Benedettini, cercammo: nulla. Non si sa nemmeno dove l’abbiano sepolto!
Mancano tanti altri di tutte le compagnie, che non sappiamo se siano morti, o feriti in qualche casa. Giuseppe Naccari, quel giovane alto con quella faccia da dipingere, che in marcia era la delizia della mia squadra, ha combattuto sino all’ultimo, senza andar a vedere i suoi, che l’aspettavano dall’esilio, qui in Palermo, chi sa da quanto. E ieri l’altro una palla lo colpì di sotto in su, mentre faceva fuoco da un campanile; gli entrò in un fianco, gli traversò dentro il petto, gli uscì da una spalla. Dicono che ne morrà. È venuto a cadere sulla soglia di casa sua.
2 giugno.
Di quei Bavaresi ricondotti da Bosco, ne sono passati già molti dalla nostra parte. Narrano che in quella marcia del ventiquattro, erano certi di raggiungerci e di finirci. Ma quando si accorsero di averci lasciati addietro, e seppero che eravamo entrati in Palermo, Bosco fu per impazzire. Li cacciò a marcie forzate sin qui, promettendo sacco e fuoco, non badando a chi cadeva sfinito per via. «Oh! dicono, se non si arrivava troppo tardi!».