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Porta Montalto, e che giunto là lo lasciassi al colonnello Carini. Mi avviai col cuore stretto. Il primo Capo—posto che trovai fu Vigo Pelizzari. Gli porsi il biglietto. Egli lo lesse, si turbò un poco, me lo ridiede; ma senza dir nulla a’ suoi che gli si affollarono intorno. Tirai innanzi, bruciando dal desiderio di conoscere il contenuto di quel foglio, potevo leggerlo, non osai. Dal colonnello Carini cui lo rimisi per ultimo, seppi poi che v’era scritto: «Dicesi che siano sbarcati ottocento Tedeschi, ultima speranza del tiranno. In caso d’attacco da forze soverchianti, ritiratevi al Palazzo Pretorio». Carini non si mostrò guari commosso per la notizia; mi rimandò colla ricevuta del foglio; ed io me ne rivenni pensando con dolore, come una mano di stranieri potessero mettere in forse le sorti della città e nostre. Ma, arrivando al Palazzo Pretorio, trovai il Generale già mutato d’umore. Discorreva con Rovighi dicendo che sperava di farla finita l’indomani; che al Palazzo Reale i regi non avevano più munizioni da bocca, che non potevano più comunicare nè col castello nè colla marina.

Mi rallegrai fino in fondo all’anima, e stanco morto mi rannicchiai là vicino, col picchetto di guardia.

Ieri, finalmente, verso mezzodì, ricevemmo a Porta Montalto l’ordine di cessare il fuoco. Subito corsi al Palazzo Pretorio, dove trovai che l’armistizio