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la madre ammalata. Ci lasciammo colla promessa di rivederci domani, e se ne andò lento e scorato, per via dei Genovesi. Mentre io stavo a guardarlo, mi venivano di lontano, per la notte, rumori d’ascie e di martelli. E li odo ancora. Ma i cittadini non si lagneranno della molestia, perchè la fretta è molta. Si lavora anche di notte a piantare abetelle, a formar palchi, a curvar archi trionfali, per la venuta di re Vittorio. Verrà dunque il Re desiderato fra questo popolo, che, ora sei anni, vide cadere Carlo terzo duca, pugnalato in mezzo alla via. Io era allora scolaro di quattordici anni, e ricordo il racconto che dell’orribile caso ci fece il padre maestro Scolopio. Frate raro, biasimava l’uccisore ma non lodava l’ucciso.
Che Carlo terzo fosse quel duca, che, prima del quarantotto, fu in Piemonte ufficiale di cavalleria? Se fu, vi lasciò tristo nome. Intesi narrare che una notte, in Torino, due ufficiali burloni, di gran casato, amici suoi, lo affrontarono per celia. Pare che ne restasse così atterrito, che i due dovettero palesarsi, tanto che non morisse dalla paura. E allora egli minacciò che guai a loro, se un dì fossero capitati a passare per i suoi Stati. — Se mai, rispose uno dei due, pianteremo gli sproni ne’ fianchi ai cavalli, e salteremo di là da’ tuoi Stati senza toccarli. — Povero Duca! Ora ne’ suoi Stati viene Vittorio. Gran fortunato