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Segue, 31 maggio.

Ma l’alba arrivò che l’ore parvero minuti, e la sveglia del secondo giorno fu data dai regi di Castellamare, che ricominciarono colle bombe. Le lanciavano misurate sul Palazzo Pretorio, sperando forse di schiacciarvi il Quartiere Generale. Ma le bombe piombavano sul convento di Santa Caterina, a un angolo della piazza. E il Generale se ne stava a piè d’una delle statue della gran fontana, dinanzi al palazzo. Lì riceveva le notizie dai punti combattuti della città; di lì partivano i suoi ordini: lì lo vedevamo noi di tanto in tanto, passando sbalestrati ora da una parte ora dall’altra, dove ci chiamava il bisogno.

In uno di quei momenti che non ne potevamo più dalla sete, Bozzani ed io traversavamo una piazza. «Vediamo se in questa casa ci danno un sorso d’acqua?» dissi io: e battei a un gran portone sul quale era scritto «Domicilio inglese». Fu scostato un battente, e vedemmo nel cortile una folla costernata. Entrammo. Ci venne incontro un signore che non sapeva quale accoglienza farci; ma pareva lì lì per pregarci di tornare indietro. Però sentendoci parlare, subito si mostrò cortese, ci tirò in mezzo a quella folla, fece portar acqua e vino.