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Sulla via, sugli archi, sotto il ponte e negli orti circostanti, strage alla baionetta. L’alba spuntava, tutti si aveva non so che di selvaggio nel volto. Padroni del ponte vi fummo trattenuti da un fuoco terribile, fulminato da un muro, sul quale, nel fumo, biancheggiavano i budrieri incrociati d’una lunga fila di fanteria. Lì un cacciatore ferito dava del capo contro al muricciuolo del ponte per fracellarselo: ma Airenta pietoso lo tirò discosto, poi, colla sua calma che non cambia mai, continuò a sparare contro a quella fila. La quale, assalita forse di fianco, spariva; mentre un po’ di cavalleria caricava i nostri a sinistra, e n’era respinta e ricacciata per la campagna. Faustino Tanara, quell’ufficiale dei bersaglieri, pallido, ardito e bello, veniva tempestando con un manipolo da quella parte; con lui, incalzati, incalzando, ci addensammo al crocicchio di Porta Termini, spazzato dalle cannonate d’una nave che tirava a rotta, e dal fuoco d’una barricata di fronte a noi.

Come turbine lo avevano già attraversato i più audaci dei nostri, sotto gli occhi di Garibaldi, che vidi là a cavallo, mirabile di sicurezza e di pace in faccia. Gli stava accanto Türr. Tuköry era caduto poco prima ferito; ed io lo avevo udito dir con dolcezza a due che volevano trasportarlo in salvo: «Andate, andate avanti, fate che il nemico non venga a pigliarmi qui». Nullo era già dentro con una mano di bergamaschi, balzato