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sulle alture di Monreale, splendevano fuochi innumerevoli; dinanzi a noi, nell’oscurità, udivo il passo pesante della colonna che ci precedeva. «Chi sarà all’avanguardia?» ci domandavamo a vicenda; e pregavamo che fossero i migliori tra noi, i più rotti alla guerra, affinchè potessero giungere improvvisi sui primi posti del nemico e sopraffarli.
A un tratto la colonna li, dov’ero io, si commove. Si grida: «La cavalleria!». Infatti il suolo ghiaioso ripercuote un galoppo di cavalli. Ci risovvenimmo delle raccomandazioni fatteci nel partire dal campo; ma sì...! uno, due, tre si sgomentano: balenammo, rompemmo le file, e ognuno si gettò come potè nei campi, a ridosso dei muriccioli che facevano riparo alla via, o rimase cavalcioni su quelli. E nella confusione furono sparate alcune schioppettate contro un cavallo bianco, che veniva verso di noi come un fantasma. Povera bestia! portava il capitano Bovi, il quale si fece riconoscere alle grida! Cessammo quello scompiglio; ci rimproverammo tra noi, tremando che quei colpi fossero per mandare guasta ogni cosa; e tirammo innanzi vergognosi del silenzio severo del colonnello Carini.
Per quei colpi i latrati dei cani crebbero vicini, lontani, infiniti.
Passammo presso un casone immenso, addormentato o deserto; e, di là a pochi passi, entrammo