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a proposito dei sonetti di cesare pascarella | 11 |
bene la vita esterna e nel riprodurla forte è molto pregio, e l’uno e l’altro riuscirono in ciò maestri solenni: nè oserei affermare che il Pascarella, pure avendo in sè del Porta e del Molière, sorpasserà il Belli e il Goldoni; nè certo li ha, per ora, eguagliati nella fecondità e nella larghezza dell’opera. Ma stimo che non mi faccia velo al giudizio l’amore che gli ho, quando affermo che la ragione ultima e intima dell’arte di lui è più alta che non quella dell’arte del Belli; come più sottile è, senza dubbio, l’esecuzione dello stile e del metro.
Diego Angeli scrisse, qualche anno fa, che il Pascarella nelle sue tavole eseguite a penna con inchiostro della China, è un sottile ed acuto psicologo; e accennò, com’egli sa, ai tre o quattromila disegni, tracciati rapidamente con la matita rossa, co’ quali egli fermò profili e figure d’uomini, di animali, di cose; fisonomie tristi e dolorose che l’artista ha reso «con grande compassionevole pessimismo.» Se avremo la stupenda raccolta, sarà quello il naturale e pieno commento ai sonetti? o non saranno piuttosto i sonetti quasi le iscrizioni titolari della serie dei disegni? Certo si è che chiunque, intanto, ha letto le prose di lui, come le Memorie d’uno smemorato e la Gita sentimentale, chiunque l’ha ascoltato conferenziere nel Manichino e nel Caffè Greco, ha potuto senza gran fatica accorgersi di quel «grande compassionevole pessimismo» che l’Angeli felicemente additava ne’ disegni.
Sotto le facili apparenze, sotto le graziose bizzarrie, c’è un Pascarella, serio osservatore dell’uomo, e che l’uomo ama perchè lo compiange. Quivi è la dignità del suo intelletto, quivi la bontà morale dell’arte sua, e, come accade, anche il valore estetico, oltre la scioltezza armoniosa del verso, e oltre la lepidezza degli scherzi ingegnosi.
Er fattaccio, La serenata, Villa Gloria, La scoperta dell’America (e mi fermo qui perchè non voglio riferire altri titoli, e questi bastano, e come!, a chi rammenta o sta ora leggendo), sono l’opera bella d’un pensatore buono. E ciò che scrivevo nel 1887 posso e devo ripeterlo qui, mentre la fama dell’amico mio non è più ristretta nella lode ch’egli sia un felice imitatore, e vola anche di là dalle Alpi meritamente come di spirito originale. Dicono che in Italia manca o è raro