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10 | a proposito dei sonetti di cesare pascarella |
Prendasi la Prineide, dove il povero Prina così pietosamente appare e discorre al signor Rocco sul paterno regime austriaco che, dopo il tanto imprecare alla tirannia napoleonica, la fa quasi rimpiangere; prendasi il Porta, dove, ed è in mille luoghi, infonde la satira politica e sociale nella maschera di un comico personaggio; e si avvertirà la differenza profonda che è tra la maniera del Belli, anche là dove egli satireggia i costumi e le istituzioni, ridendo e facendo ridere, e tra la maniera de’ Lombardi e del Pascarella.
Perchè infatti a me sembra che il Pascarella, subito che uscì da’ tentativi, tendesse (e ripeto che non so e poco importa sapere se ne fu, o no, consapevole) ben più verso la stessa idealità estetica ed etica cui mirarono il Grossi e il Porta, che non verso gli esempi del Belli. Restando romanesco nelle forme esterne, e profondamente e sinceramente romanesco anche nel fedele ritratto dei costumi e degli animi, la sua poesia superò presto il cerchio segnato dal predecessore diretto, e si avviò, quasi per ondate largamente concentriche, a confondersi nei cerchi tracciati da quella che fu la grande poesia meneghina. Nè alcuno m’incolpi di poco amore al Belli, che ammiro ed amo quasi quanto il Goldoni, cui per tante parti ei somiglia; ma al Goldoni, in confronto col Molière, fu a buon dritto negata la intuizione filosofica de’ caratteri umani, così che il più delle volte non valse a plasmare che caratteri comici solo esternamente, e al Belli mancò la virtù del pensiero che riconduce ai concetti fondamentali della vita le singole manifestazioni ed espressioni del vivere giornaliero. Pel Goldoni e per lui riprenderei volentieri la similitudine della lastra fotografica, così rapidamente impressionata nella superficie, sotto la quale non è che un qualche millimetro di vetro. Il che non fa ch’essi non siano grandi, perchè anche nel sentire