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a proposito dei sonetti di cesare pascarella |
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disdirebbero tra quelli del Belli. Si trovano per via due comari, e chiacchierano tra loro così:
— Oh, buon di e buon anno! come state?
— Bene; e voi?
— Bene.
— Ch’è della brigata?
— Ho la figliuola mia che s’è ammalata.
— Da quando in qua?
— Da poi ch’entrò la state.
— La sarà forse grossa...
— Voi errate,
Ch’ ell’ ha il su’ tempo: a me pare oppilata.
— Io, la mia, quasi l’ho maritata.
— Chi, la Fiammetta? vo’ mi consolate!
— Io prego Dio, che m’aiuti di questa:
Ch’ i’ affogai la Sandra. Mah, pazienza!...
— Andrem noi dunque domani alla festa?
— Gnaffe! non io, ch’i’ho assai penitenza,
Tanti pensier mi scompiglian la testa!
— Tutte siam nate sotto una ’nfluenza!
Come sta la Clemenza?
— E fresca e grassa che pare una ladra,
E va, più ch’ell’ andassi mai, leggiadra.
— No’ saremo una squadra
Ch’andrem, domani, a un prete novello;
Verrete voi?
— I’ are’ poco cervello!
— Orsù, facciam fardello.
Addio, vi lascio; addio, monna Simona:
Abbiam tanto gracchiato ch’ ell’ è nova!
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Del pari si trovano pervia due monellacci: giocano e fan baruffa; altri s’interpongono, e si azzuffano anche loro:
— Dammi ’l mi’ ferro!
— Egli è mio!
— Dallo qua!
— Io te l’ho vinto!
— Anzi, me l’hai rubato!
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