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Il volto è grave e solenne nel sonno eterno, con gli occhi cavi, con i segni della dura vita ascetica; la fronte sembra anche più vasta colla testa canuta mentre una barba fluente e morbida scende sul petto.

Un frate bacia i piedi del Santo, un altro si terge il pianto col lembo della tonaca, altri due singhiozzano; chi coetaneo al maestro si china sulla testa di lui con le mani tremanti, chi si nasconde il volto tra le palme per sfuggire lo strazio di quella vista, chi guarda pensa e sente tutta l’angoscia di quel momento, chi inginocchiato si raccomanda a Dio perchè conceda la salute a quello storpiato che a stento si trascina presso il Santo sostenendosi su di una gruccia. Egli domanda pietà per le sue carni miserabili, per le sue membra impotenti, e agita il suo braccio paralitico, mentre la sua grossa testa incassata, immobilizzata tra le spalle scolpisce tutta quella vita di miseria.

Quel prelato dalla testa calva, dal profilo aristocratico, che prega tranquillo, quasi fosse estraneo alla scena, è il ritratto dell’Inghìrami, che il Lippi ha eseguito con ogni cura. Guardate come le belle mani dalle dita sottili contrastano con quelle dei frati tozze e sformate dalle dure incombenze di un lavoro manuale; qui si indovina subito il dotto studioso