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Intanto le moltitudini non s’addentran nell’intenzioni: afferrano l’apparenza delle cose, e insistono sulle prime credenze. Ora quel tempo è passato; ma le speranze, i rancori, i sospetti e le simpatie vivono tuttavia. Non v’è cuore in Italia, che non abbia battuto più rapido all’udirvi re. Non v’è occhio in Europa che non guardi a’ vostri primi passi nella carriera che vi si apre davanti.

Sire, è forza il dirlo: questa carriera è difficile. Voi salite sul trono in un’epoca, della quale non saprei scorger la più perigliosa pe’ troni negli annali del mondo.

Al di fuori l’Europa divisa in due campi. Dappertutto il diritto e la forza, il moto e l’inerzia, la libertà e il dispotismo a contrasto. Dappertutto gli elementi del vecchio mondo, e quei di un nuovo mondo serrati a battaglia ultima, disperata, tremenda. I popoli e i re han rinnegato i calcoli della prudenza; han gettata la spada nelle bilancie dell’umanità: han cacciata via la guaina. Quaranta anni addietro i re dominavano i popoli col solo terrore delle baionette, e i popoli non guerreggiavano i re se non coll’armi del pensiero e della parola. Ora siamo a’ tempi ne’ quali la parola s’è fatta potenza, il pensiero e l’azione son uno, e le baionette non valgono, se non son tinte di sangue. Da entrambe le parti è forza e immutabilità di proposito; ma i re combattono per conservare le usurpazioni puntellate dagli anni, i popoli combattono per rivendicare i diritti voluti dalla natura. Per gli uni stanno l’arti politiche, le abitudini, la ferocia, e, per ora, gli eserciti. Per gli altri l’entusiasmo, la coscienza, una costanza a tutta prova, la potenza delle memorie, dieci secoli di tormenti e la santità del martirio. I gabinetti diffidano l’uno dell’altro, i popoli si affidano ciecamente, perchè i primi vincola l’interesse, i secondi affratella la simpatia. Al fondo del quadro una guerra inevitabile, perchè tutti gli altri modi di controversia sono oggimai esauriti: universale, perchè ai popoli e ai re la causa è una sola: decisiva e d’estinzione, perchè guerra non d’uomini, ma di principj. 

Al di dentro un fremito sordo, un’agitazione indistinta, un disagio in tutte le classi, perchè la miseria di molti non è che velata dalla opulenza de’ pochi; e i pochi si stanno anch’essi diffidenti del presente, e incerti dell’avvenire. Le intraprese commerciali si arrestano davanti a un orizzonte che muta ad ogni istante; il commercio marittimo vuol pace al di dentro, e securità al di fuori, e noi non abbiamo certezza nè dell’una nè dell’altra. Quindi le sorgenti della circolazione e della vita sociale interrotte, come la circolazione del sangue si aggela per terrore ne’ corpi umani; quindi una forte tendenza a’ mutamenti, perchè ogni mutamento cova sempre l’idea del meglio, e a’ popoli come agl’individui l’incertezza è morte continua; stato violento da cui conviene uscire a qualunque patto. Tra noi come tra gli altri l’ardore di nuove cose s’appoggia su bisogni innegabili; l’aspettazione è rinforzata dalle antiche promesse. E le promesse son dimenticate da’ principi, non mai dai popoli. Poi la potenza degli esempj, le fresche speranze, i rancori novissimi, e l’ira stan presso a ridurre il desiderio all’azione. 

Per circostanze sì fatte, voi salite sul trono; sopra un trono che nè prestigi di gloria, nè memorie solenni fanno venerato o temuto; sopra un trono composto di due metà ostili l’una all’altra, congiunte a forza, e tendenti pur sempre a separazione. 

Che farete voi, Sire?