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Sire! Da gente sì fatta non pende il destino della cosa pubblica. Il nerbo della società, l’azione, l’opera, la potenza vera sta altrove; nel genio che pensa o dirige, nella gioventù che interpreta il pensiero, e lo commette all’azione, nella plebe che rovina gli ostacoli che si attraversano.
Il genio, Sire, è scintilla di Dio, indipendente e fecondo com’esso; nè si vende, nè si stringe a individui, ma provvede alle razze, e interpreta la natura. La gioventù è bollente per istinto, irrequieta per abbondanza di vita, costante ne’ propositi per vigore di sensazioni, sprezzatrice della morte per difetto di calcolo. La plebe è tumultuante per abito, malcontenta per miseria, onnipotente per numero.
Or, genio, gioventù e plebe stanno contro di voi; non s’acquetano a poche concessioni, dono d’uomo, a cui niuna legge vieta rivocarlo il dì dopo; non s’appagano di riforme che fruttano ricchezza o potenza all’individuo che le promove; bensì voglion riforme che fruttino tutto alla nazione e null’altro che amore a chi le propone. Vogliono riconoscimento de’ diritti dell’umanità manomessi ad arbitrio per tanti secoli; vogliono uno stato ordinato per essi e con essi; uno stato la cui forma corrisponda ai bisogni ed ai voti sviluppati dal tempo; vogliono leggi, vogliono libertà. Il genio ne ha letto da gran tempo il precetto nella natura delle cose e nei principj di universale progresso sviluppati nella storia co’ fatti. La gioventù nel proprio cuore, nella coscienza di facoltà, che la tirannide condanna a giacersi inoperose, nella maestà degli esempli, sulla tomba dei padri. La plebe nella parola de’ buoni, nelle memorie, nell’istinto potente che la suscita a moto, nella propria tristissima condizione, e in certo suo intimo senso, davanti a cui impallidisce sovente l’intelletto del savio.
Vogliono libertà, indipendenza ed unione. Poichè il grido del 1789 ha rotto il sonno de’ popoli, hanno ricercato i titoli coi quali potevano presentarsi alla grande famiglia europea, e non hanno trovato che ceppi; divisi, oppressi, smembrati, non han nome, nè patria; hanno inteso lo straniero a chiamarli iloti delle nazioni; l’uomo libero esclamare visitando le loro contrade: non è che polvere! Han bevuto intero il calice amaro della schiavitù; han giurato di non ricominciarlo.
Vogliono libertà, indipendenza ed unione; e le avranno, perchè han fermo di averle. Dieci secoli di servaggio pesavano sulle lor teste e non han disperato. Han guardato indietro ne’ tempi che furono, hanno rimescolata la polvere delle sepolture, e n’hanno dissotterrato memorie di grandezza da lungo tempo obbliate, memorie d’antiche imprese, di leghe terribili, alle quali non mancò che costanza. I bandi di Giovanni d’Austria e di Nugent, le bandiere di Bentink! 1809 e 1814 insegnarono ad essi il sentimento della loro potenza. Poi il cannone di Parigi, di Bruxelles, e di Varsavia ha mostrato che questa è potenza invincibile. Ora ad un popolo che ha fede e potenza che cosa manca per rigenerarsi fuorchè l’occasione?
E pensate voi che poche concessioni addormentino i popoli, o non piuttosto ch’esse svelino la debolezza de’ dominatori? Pensate che rimovano per lungo tempo quell’occasione, o non piuttosto l’affrettino? Siete cinto da tutte parti di paesi italiani, che anelano il momento di ritentare le vie fallite una volta per inesperienza di cose, per tradimento straniero; e sperate che manchino occasioni? Ponete ch’essi afferrino il tempo, e o le armi tedesche non verranno a combatterli, e il contatto di terre libere sommoverà i