ora, fatto d’orror scena funèbre
e bara de’ cadaveri insepolti
di pallor sparsi, in negro fango involti,
fa stillar di pietá mille palpèbre.
Fu chi pensò che ’l secolo di Pirra
giá ritornasse al mondo; ond’altri il voto
preparava a Nettuno, altri devoto
offriva al divo Giove incenso e mirra.
Oh quante volte il tridentato dio
rivolto ad Ino, ad Anfitrite, a Glauco:
— Chi è — disse — costui sí altero e rauco,
ch’esser mostra ribelle al regno mio?
Mirate lá come per larga foce
sgorgando in mar, qual tortuosa biscia,
serba fra l’onde mie ben lunga striscia,
e non l’arresta lo mio guardo atroce. —
Allora anch’egli i suoi spumosi regni
scosse col gran tridente, e ’n un s’udîro
tonando i flutti in un profondo giro
ravvoltati assorbir volanti legni.
Cosí cavallo indomito, che ’l morso
rallentato si senta, urta e si scuote,
pesta il suol, sfida l’aure e ’n varie ruote
girando squassa orribilmente il dorso.
Ma, poi che in volto formidabil scerse
il mar d’Adria turbato in carro assiso,
a le guerre del ciel, de l’onda fiso
e muto spettator, gli occhi converse.
Cosí dicea con piú sonori carmi,
posta da canto l’umile sua cetra,
Aldin, che di dolcezza i marmi spetra,
Aldin, che canterá guerrieri ed armi.