Udii talor sopra frondoso legno
balenando cadere a me vicino
folgore orrendo, e nel percosso pino
restar del suo fragor perpetuo il segno;
tonar superba mole al Tebro in riva
udii talor d’orribile rimbombo,
ed alternando ancorché lieto il bombo,
il mio volto per téma impallidiva;
e quand’anco da l’antro austro sen fugge
e ’l sonoro ocean mesce e conturba,
celasi per terror l’ondosa turba,
ove men rauco il mar mormora e mugge.
Ma son sembianze omai troppo ineguali
folgore, irato mar, fulmin terreno,
a l’impeto del Tronto irato e pieno,
che s’erge su, dove fu ’l varco a l’ali.
Impetuosamente orride belve
vedresti per le liquide pianure
seco trar l’onda, e fra quell’onde oscure
rotar case e natar l’intere selve.
Mal cauto peregrin, che vide l’onda
scorrer sí gonfia per gli aperti campi,
esser pensò lá dove il sole i lampi
vibra accesi e l’Egitto il Nil feconda.
Le driadi, le napee e l’altre ninfe,
ch’abitan l’onde ed oprano le frecce
o veston le selvatiche cortecce,
tutte stupîr de le cangiate linfe.
Stupir che ’l Tronto, ch’aggirar solea
lubrico il piè per limpida pendice,
e che scopriva altrui ciò che felice
nel piú secreto fondo ei nascondea,
e che piú volte a lor fido consiglio
somministrò co’ liquidi zaffiri,
e come s’orni il crin, l’occhio si giri,
e come rida, in su la rosa, il giglio;