Da disusata vïolenza spinto,
correva il flutto ad inondar la valle;
era lago la piazza e fiume il calle
e la cittade ondoso labirinto.
Il troppo fosco orror rendea cotanto
confuso il ciel, che per tre spazi integri
il Sol rotar non volle i lampi allegri,
né la notte spiegar gemmato il manto.
Da cento e cento lubrichi vassalli
ebbe tributo volontario il Tronto,
che, fatto ingiusto rege, audace e pronto
corse a tiranneggiar l’amiche valli.
Se pria devoto a la cittá di Pico
il piè baciò de le famose mura,
ora senza ritegno ei s’assicura
moverle aspra tenzon, fero nemico;
e disdegnando omai degli alti ponti,
novello Arasse, l’odïosa soma,
scuote con atto altier l’umida chioma
e guerra indice con spumosi monti.
E qual vittorïoso capitano
per batter mura di superba ròcca
opra ferrate travi e sempre scocca
piú forti colpi con robusta mano,
cotal ruina orribile minaccia,
ed avventando ai ponti elci ed abeti,
fa tremar, fa crollar l’alte pareti
il fiume altier con spaventosa faccia.
Ma raddoppiando le divelte piante
ognora formidabili percosse,
forza è che ’l ponte al fine a tante scosse
cada e l’inghiotta pur l’onda tonante;
l’onda, ch’omai la chioma piú frondosa
copre de’ pioppi, e, dove fece il nido
semplicetto augellin, del fiume infido
allora ivi natò plebe squammosa;