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pier francesco paoli | 65 |
IV
LA LETTERA
Or che formo di pianto un ampio lago
lunge da lei, che lunge anco innamora,
non acconsente un suo pensier ch’io mora,
un suo pensier del mio morir presago;
e invece del suo volto amato e vago,
in cui bellezza angelica s’adora,
carta m’invia, perch’io la miri ogni ora,
che di lei che la scrisse è viva imago.
La miro, e cangia il ciel meco tenore,
mentre con quei caratteri possenti,
fatto mago d’amor, scongiuro Amore.
La miro e, rileggendo i dolci accenti,
con gli occhi entro quel nero asciutto umore
bevo la medicina a’ miei tormenti.
V
LA CHIOMA
Vago de le sue glorie, il ciel ripose
di bellezze in costei ricco tesoro;
ma piú del biondo crin mostra fra loro
essa le voglie sue liete e fastose.
Belle ha le luci sí, ma sonnacchiose
prendon stanche talor dolce ristoro;
belle ha le mani ond’io beato moro,
ma l’ascondon talor spoglie odorose.
Solo il crin, non mai stanco e sempre in mostra,
fra le belle di lei pompe guerrere,
predando i cor, vittorïoso giostra.
Vero è che l’occhio incende e la man fère;
ma legate in trionfo il crin dimostra
l’incenerite e le piagate schiere.