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64 | lirici marinisti |
II
IL BACIO DATO PER DISPETTO
Semivivo anelar costei mi vede,
or che torno a mirar suo vago volto;
e, caramente infra le braccia accolto,
soave un bacio al mio languir concede.
Poscia, che dispettosa ella me ’l diede
dice; e tutto dal cor fummi allor tolto
quel dolce ond’io sperava indi a non molto
altra piú ricca al mio servir mercede.
Chi vide mai cader dal ciel sereno,
dietro a bella rugiada aspra tempesta
e stillar da un sol fior manna e veleno?
Giardiniera d’amore empia è ben questa,
che del mio cor nel povero terreno
sovra un bacio vital la morte innesta.
III
IL CENNO NON INTESO
Appena i passi entro le scole ho steso
d’Amore e forse in me l’ingegno è tardo;
ancor non so quand’ei da l’arco teso
avventi d’oro o pur di piombo il dardo.
Con immensa mia gioia ho solo appreso
questi primi elementi: «Io amo, io ardo».
Dunque, donna, io non deggio esser ripreso
se non intendo il favellar d’un guardo.
Ben fia ch’in queste scole io soffra e tenti
ogni affanno, ogn’impresa, e in esse accolto
spenda del viver mio l’ore e i momenti.
Tacerò i lustri interi e, in voi sol vòlto,
leggerò quei caratteri lucenti,
che v’ha scolpiti il ciel entro al bel volto.