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claudio achillini | 49 |
IV
L’ANTICA AMANTE FATTA MONACA
Quell’idolo mio dolce, a cui si rese
vinto il mio core, al ciel vinto si rende;
la beltá del suo volto il cor m’accese,
la beltá del suo core il cielo accende.
S’egli alle fiamme mie placido scese,
or tutto fiamma al paradiso ascende;
e s’egli a’ miei desir nulla contese,
or nulla ancora al suo Fattor contende.
Vedrem quell’alma al suo signore ancella
sparsa in sospiri e seminata in pianto
animar di pietá povera cella.
Potessi anch’io per le sue preci intanto,
soggiogata ogni voglia a Dio rubella,
condur quest’ombra al primo sole accanto.
V
LA MENDICANTE
Sciolta il crin, rotta i panni e nuda il piede,
donna, cui fe’ lo ciel povera e bella,
con fioca voce e languida favella
mendicava per Dio poca mercede.
Fa di mill'alme, intanto, avare prede
al fulminar de l’una e l’altra stella;
e di quel biondo crin l’aurea procella
a la sua povertá togliea la fede.
— A che fa — le diss’io — sí vil richiesta
la bocca tua d’orïental lavoro,
ov’Amor sul rubin la perla inesta?
Ché se vaga sei tu d’altro tesoro,
china la ricca e prezïosa testa,
ché pioveran le chiome i nembi d’oro. —