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pietro casaburi 501

II

LA CHIOMA NERA

     Tenebroso meandro, entro il cui giro
naufragato m’avvolgo in dolci errori;
ombra ch’oscuri l’ombra e vinci gli ori,
mentre le tue caligini rimiro;
     scorni agl’inchiostri tuoi gli ostri di Tiro,
onde sui petti altrui descrivi ardori,
e, da gli ebeni tuoi vinti gli avori,
la tua leggiadra oscuritá sospiro.
     Notte filata, alle tue chiare luci,
che sul ciel d’una fronte hanno il chiarore,
nel bel regno d’Amor l’alme conduci.
     Ma se notte rassembri al vago orrore,
meraviglia non è s’amor produci,
poiché sol dalla notte è nato Amore.

III

TRAMONTANDO IL SOLE

     Ed ecco, o Filli, avventurosa aurora
portò quel giorno onde il mio duolo ha pace;
ecco in sen pur ti stringo, ecco si sface
l’anima per dolcezza e si ristora.
     Ma Febo, ahi lasso, inver’la spiaggia mora
giá va del giorno a sepellir la face,
e giá convien che tu, da me fugace,
tristo qui m’abbandoni e ch’io mi mora.
     Giove, perché costei dalle mie braccia
non parta mai, del sole inchioda il volo,
e su l’eteree vie lung’or sen giaccia;
     se, nel concetto giá d’Alcide, il polo
fe’ di duo giorni una sol notte, or faccia
di due notti congiunte un giorno solo.