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X

IN UNA VILLA PRESSO SORRENTO

Ad Antonio Teodoto

     Vivo, amico, a me stesso. A piè d’un fonte,
ch’odorosa la conca e l’onde ha chiare,
non piú cure celando in petto amare,
a l’armonie le mie vigilie ho pronte.
     Mentre accordo la cetra e la mia fronte
fregio d’allòr che non ha frondi avare,
piú sirene ritrovo in questo mare,
piú camene ritrovo in questo monte.
     Qui le vane speranze in aria ho sparte,
qui canto i miei piú giovenili errori,
qui d’inchiostri febei vergo le carte.
     Fra le pallide ulive e fra gli allori
or facondie Minerva a me comparte,
or mi spira Calliope i suoi furori.

XI

NEL TEMPO DELLA PESTE DI NAPOLI

Al padre Niceforo Sebasto, agostiniano

     Sovra carro funebre
con tartareo flagello i draghi alati
furia di Flegetonte agita a volo.
De l’enfiate palpebre
ai guardi infetti e de la bocca ai fiati,
d’ossame imputridito ingombra il suolo.
Spettatrice di duolo
fassi l’Esperia, e di conforti esausto,
di tragedia fatal teatro infausto.