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X

AL PADRE GIACOMO LUBRANO

Per l’infermitá che l’affliggeva alla lingua

     La tua lingua immortal, ch’offesa offende
l’inferno, s’ella è nel parlar languente,
l’alme infette a guarir pietosa intende
e nel suo tronco dire è piú eloquente.
     Se l’udito talor mal la comprende,
scopre arcani ineffabili alla mente;
se bassa, de’ pensieri alta si rende,
alzando al ciel l’ascoltatrice gente.
     Le ceda ogn’altra nell’orar fiorita,
ché i cori al vivo il suo dir punge e tocca,
e, cosí inferma, al peccator dá vita.
     Se di celeste ardor strali ne scocca
stridendo, e al proferir non è spedita,
de l’incendio divin la fiamma ha in bocca.

XI

ALLO STESSO

Per le poesie da lui composte, latine e italiane

     In riva del Sebeto in suon latino
mentre tu canti ove cantò ’l Marone
e accordò la sua lira anco il Marino,
i vanti lor co’ tuoi par ch’ei risuone.
     L’ammirabil tuo stil, ch’ha del divino
e indietro ogn’altro stil lascia e ripone,
s’or tratta il plettro tosco, alto destino
cela il tuo nome e in anagramma espone.
     Spande l’ali la fama, e in ogni parte
le tue va in promolgar rime pregiate,
l’autor tacendo, non espresso in carte.
     Son le tue glorie al maggior segno alzate;
ché creda il mondo ella l’occulta ad arte
che d’angelica penna or sian formate.