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464 | lirici marinisti |
VIII
LE BEVANDE AGGHIACCIATE
Doni del ciel, gratuiti tesori
cadono giú le nevi, e in bianca mole
si rapprendon penose, onde la prole
lattin poi sciolte a rustici lavori.
E pure il lusso l’offre in tazze d’ori
per estri a Bacco e fomiti a le gole,
e benché arrabbi ingiurïato il sole,
mira tremar l’está, freddi gli ardori.
Ebri Epuloni, o voi che in laute cene
fate brillar voluttuoso il verno,
ne’ di canicolari entro le vene,
tempo verrá che nel profondo Averno
impetrar non potrete, arsi da pene,
un’istantanea stilla al foco eterno.
IX
IL BACO DA SETA
che si schiude nel petto di una donna
Si slaccia Filli il petto e le native
poppe son d’un vil verme albe di vita;
fra palpiti d’argento il latte invita
ad animarsi in oro un che non vive!
Non si vaghi del Gange entro le rive
smalta i natali al Sol l’onda fiorita,
né piú morbida culla o piú gradita
le Veneri sortîr ne l’acque argive.
Pria che il serico stuol l’ambite prede
stenda col labro in biondo fil serpendo,
par che del core uman vagisca erede.
La mia mortalitá quindi comprendo,
senza gire a le tombe. In noi si vede
la morta polve inverminir vivendo.