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giacomo lubrano | 463 |
VI
L’OCCHIALINO
Con qual magia di cristallina lente,
picciolo ordigno, iperbole degli occhi,
fa che in punti d’arene un Perú fiocchi,
e pompeggi da grande un schizzo d’ente?
Tanto piacevol piú, quanto piú mente;
minaccia in poche gocce un mar che sbocchi;
da un fil, striscia di fulmine che scocchi,
e giuri mezzo tutto un mezzo niente.
Cosí se stesso adula il fasto umano,
e per diletto amplifica gl’inganni,
stimando un mondo ogni atomo di vano.
Oh ottica fatale a’ nostri danni!
Un istante è la vita, e ’l senso insano
sogna e travede eternitá negli anni.
VII
A UN VANTATORE DI NOBILTÁ
L’arbore imperiosa in cento rami
di tua stirpe s’inalzi, e colma abondi
di corone e di mitre; infra le frondi
la fama canti pur ciò che piú brami.
Fingila nata ancor pria degli Adami,
quando vagiano in culla ombre di mondi;
ché investigando giá dove si fondi,
non troverai che polvere e letami.
Vane genealogie! Se i pregi augusti
ne la posteritá restan sepolti,
vili epitaffi son, titoli ingiusti.
Odi tu, che degli avi i tronchi avvolti
vanti di glorie sol perché vetusti:
la piú antica famiglia è degli stolti.