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giuseppe artale | 457 |
XVI
DOPO UN DUELLO
Alla sua donna
Punto di piú d’un ferro e semimorto,
mentre tutto il mio sangue al suol trabocca,
sol per estremo e singolar conforto
ti scrivo, anima mia, co’ l’alma in bocca;
e, benché sia nel proprio sangue absorto,
roso ancor da lo stral ch’Amor mi scocca,
senza speme di vita, agonizzante,
non mi posso scordar d’esserti amante.
Forma or tu gli amorosi alti argomenti,
s’io tua beltá costantemente amai,
mentre per te fra bellici stormenti
avido di servirti il sen portai,
e i colpi mortalissimi e pungenti,
quasi a gran nume, al tuo voler sacrai,
benché mirò per mio svantaggio ognuno
quattro e quattro guerrier incontro ad uno.
Pur non temei, poiché non mai si vede
paventar ai perigli amante un core,
e fra le pugne orrende or ben si crede
giungere ardir, vie piú che Marte, Amore!
Quinci non mai torcere in fuga il piede
mi scorse, benché fier, l’altrui furore;
anzi mirò per altrui scorno il polo
far fronte ad otto brandi un brando solo.
Non curai l’armi e non temei gli armati,
offesi offeso e rincalzai ferito;
provocai, minacciai quei volti irati,
fatto guerrier de la ragione ardito;
i colpi non curai, ver’ me vibrati,
quantunque fûr di numero infinito;
sí non fe’ per timor fallo in effetto,
fatto bersaglio ad otto ferri un petto.