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452 | lirici marinisti |
VI
LA PULCE
Picciola instabil macchia, ecco, vivente
in sen d’argento alimentare e grato,
e posa ove il Sol fisso è geminato
breve un’ombra palpabile e pungente.
Lieve d’ebeno star fèra mordente
fra nevosi sentier veggio in agguato,
e un antipodo nero abbrevïato
d’un picciol mondo e quasi niente un ente.
Pulce, volatil neo d’almo candore,
che indivisibil corpo hai per ischermo,
fatto etiopo un atomo d’amore;
tu sei di questo cor lasso ed infermo
per far prolisso il duol, lungo il languore,
de’ perïodi miei punto non fermo.
VII
LA DAMA INFANTICIDA
Tu ch’hai ne l’alba tua sera immatura
e sei nell’orto un abortito infante,
io ti son madre, culla e sepoltura,
tu vita e matricida agonizzante.
Sorte è aver madre e averla è tua sventura;
nòci innocente, ancor non balbettante
mie colpe accusi; ed io pietosa e dura
madre t’uccido, e ti composi amante.
Mori! Morte mi dan le tue dimore;
ti dá chi ti diè vita ore sí corte
per svenar con tua morte il proprio errore.
Amor ti diede (oh Dio!) la vita in sorte
a dispetto d’onore, ed or l’onore
a malgrado d’amor ti dá la morte.