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giuseppe artale | 451 |
IV
LA CANTATRICE
Moro a tue fughe e son tuoi canti incanti,
con cui maga canora anime ammaghi,
e in legar con piú corde i cori amanti
co’ semicromi i semimorti impiaghi;
passi i cor co’ passaggi, e in tuon se canti,
con dolce tuon di fulminar t’appaghi,
e a le sincope tue petti costanti
de le sincope lor gemon presaghi.
Non poso in pause, e i miei sospiri etnei
son tuoi respiri, e son per tua virtute
le tue cadenze i precipizi miei;
e in acuto in vibrar saette acute,
dirò che dian ne’ miei dolor piú rei
mille colpi al mio cor le tue battute.
V
LA DONNA CON GLI OCCHIALI
Non per temprar l’altrui crescente ardore
sugli occhi usa costei nevi addensate,
ma per ferir da piú lontano un core
rinforza col cristal le luci amate.
Se co’ riflessi il Sol nutre il calore,
questa, per far piú fervide le occhiate,
l’oppon due vetri, acciò che ’l suo folgore
vibri, in vece di rai, vampe adirate.
Ella, quasi Archimede, arder noi vuole,
ché sa che cagionò fiamme e feretri
per dïafane vie passando il sole;
o i petti tutti acciò ferire impetri,
ed a gli strali suoi cor non s’invole,
vie piú scaltra d’Amor, benda ha di vetri.