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giuseppe battista 441

     Mentre in tante follie le voglie implica,
bieco disnor nel proprio nome imprime;
le infamie sue fama loquace esprime
e palesa Maria meno pudica.
     Mentre è lecito a lei ciò che non lice
e cieca vuol per guida i ciechi sensi,
gridan con libertá gli altrui consensi
che la suora di Marta è peccatrice.
     Donna, quantunque vanti aver bellezza,
men bella è poi se tien l’onor negletto;
qual cristallo è l’onor fragile e schietto,
schietto si macchia e fragile si spezza.
     Lunga stagion vaneggia e per le scorte
de’ piú sozzi diletti a Dio s’invola;
tien ragion vilipesa e la sua scola,
ama il mondo maestro e la sua corte.
     Stima suo bene il male e col tributo
fa delle colpe insuperbir l’inferno;
oblia la nobiltá, né prende a scherno
esser, come d’Amor, preda di Pluto.
     Ma Dio che la vuol seco a sé la chiama,
e consiglio miglior le spira in mente;
giá delle colpe andate ella si pente
e di virtú novelle ornarsi brama.
     Dal profondo letargo alfin si desta,
ammenda l’opre ed i pensier corregge;
giá gli arbítri dispone a nova legge
e l’antiche libidini detesta.
     L’accusano le colpe ond’ella è grave,
ma la pietá del Redentor l’affida;
la combatte il timore e nulla fida,
la speranza l’assale e nulla pave.
     Vince alfin la speranza, il timor cede,
ma non lascia il dolor de’ falli suoi;
in un sospir l’anima scioglie e poi
perdono del fallir l’anima chiede.