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giuseppe battista 435

     Poscia nel proprio loco
imprigiona se stessa e nome ha mare;
con istrepito roco
intriga le sue spume e sono amare,
e se talor da’ venti,
araldi di tempesta, ha fier conflitto,
i suoi liquidi argenti
non sanno valicar l’orlo prescritto:
tra le fauci singhiozza alto muggito,
ché lo stringe fra ceppi un secco lito.
     Oh come sembra lieto
quando increspa i suoi piani aura clemente,
e con flagel discreto
bacia di bianco umor scoglio pungente!
Su la fronte canuta
apre le placidezze e par ch’e’ rida,
i piloti saluta
con amico fragore, e quegli affida
a corredar gli abbandonati pini
e di remi voganti e d’aurei lini.
     Per non visti canali
dalle viscere erutta umide moli,
che sui monti ineguali,
come s’avesser penne alzano i voli.
Sul Caucaso nevoso
l’Indo, che all’India il nome diede, ascende,
e da quel crin selvoso
precipita se stesso e giú discende.
Ha per balze montane erta salita
contro il peso nativo il Tanai scita.
     Mille scherzi natura
opra nell’acque e le ragioni asconde.
Odio perpetuo giura
contra il vino chi bee clitorie l’onde.
L’acqua di Giove Ammone
cuoce su l’alba e nel meriggio agghiaccia;