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giuseppe battista | 431 |
XLIV
ASPETTANDO LA CHIRAGRA
In nome d’un amico
Giá preveggo gli strazi e giá detesto
i proemi d’un duol piú che pungenti;
giá preparo una lingua a’ miei lamenti
ed al martirio mio due mani appresto.
Se ’l timor delle pene è piú molesto,
vengano i miei dolori e non giá lenti;
vengano, ma con l’ale, i miei tormenti,
ché parte è di pietá l’uccider presto.
Insegnano del mal l’acerbe scole
che ’l pensiero del mal un cor sgomenta,
piú che lo stesso male offender suole.
Per le penne d’altrui piú non si senta
che piaga antiveduta assai men duole,
che saetta prevista arriva lenta!
XLV
LO STUDIO DELLE LETTERE
Sudi l’avaro. Io faticar lo ’ngegno
per ricchezze barbariche non voglio.
Mi chiuda un tetto. Altri del mar l’orgoglio
valichi audace oltre di Calpe il segno.
Io non invidio agli Alessandri il regno,
lo scettro ai Ciri ed agli Augusti il soglio,
quando, cinico novo, entro d’un doglio
ho, divorando i libri, il mio sostegno.
Se intendo sol come il divino Apelle
l’iri colora e come l’aere piove
agitato da stridole procelle,
come immota è la terra, il ciel si move,
e per lo molle ciel guizzan le stelle,
sol mi repúto inferïore a Giove.