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426 lirici marinisti

XXXIV

IL POETA E IL BEVER ACQUA

     Beva nettare Chio chi peregrino
testor di sacri carmi esser procura;
chi brama col cantar gloria futura
fugga gelido rio di ghiaccio alpino.
     Quel verso, o sia toscano o sia latino,
che finge il bevitor dell’onda pura,
piacer troppo non può, troppo non dura,
e divino non è se non divino.
     Ennio che nella tromba ha glorie prime,
e ’l maestro de’ lirici, ch’è Flacco,
ebbero da Lieo lo stil sublime.
     E chi stese in Beozia il piè non fiacco
m’insegnò che Parnaso abbia due cime,
l’una a Febo sacrata e l’altra a Bacco.

XXXV

L’IMMORTALITÁ LETTERARIA

     Sembra la vita, che da noi sen fugge,
onda del Nilo in su l’egizia rena;
sembra fiore sabeo che, nato appena,
turbo lo schianta o fulmine l’adugge;
     lieve vapor, ch’avidamente sugge
il pianeta gentil che il dí rimena;
vampa, che per lo ciel striscia e balena;
nube, che sul Pirene Euro distrugge.
     Ma sol pagine verghi e sparga inchiostro
chi brama eternitá. Cosí deride
il velen della morte il viver nostro.
     More colui che le lusinghe infide
siegue dell’ozio e dell’idalio mostro:
una punta di penna il tempo uccide.