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giuseppe battista 415

XII

L’ACQUA

     Latto con mille poppe e rendo vive
io, ricca genitrice delle cose,
le querce a Giove, a Pallade le ulive,
i gigli a Giuno, a Citerea le rose.
     Nel grembo algente o sulle rive algose
danzatrici canore ho le mie dive;
siano l’ore gelate o sian focose,
senza l’umido mio vita non vive.
     Non ondeggiar quaggiú solo a me lice,
ma sciolgo ancor sul fornice librato
delle sfere profonde il piè felice.
     E ’l Dio che sulle stelle ha trono aurato,
quando dal sen del nulla il mondo elice,
gode su le mie spalle esser portato.

XIII

LA LETTERA

     Figlia del mio pensier, nunzia veloce,
che corri senza piè, voli senz’ale,
rapida piú che vento e piú che strale,
e dove l’aere agghiaccia e dove coce;
     palesi la mia mente e non hai voce,
ordisci tradimenti e sei leale,
erba non sei di Colco e sei letale,
non sei libica belva e sei feroce.
     Spirto de’ passi miei, lingua del core,
mi conduci colá dov’io non sono
e chiedi quanto vuoi senza rossore.
     Delle tue note, allor che note sono,
ha la suora d’Encelado minore
ne’ vanni il moto e nella tromba il suono.