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X

LA ZANZARA

     Se la madre d’Amor dall’acque uscio
e vanta in mezzo all’acque il suo natale,
alla madre d’Amore io fatta eguale
dall’acque vanto il nascimento mio.
     Se di Venere il figlio, il cieco dio,
ha sugli omeri vanni e porta strale,
anch’io su le mie spalle innalzo l’ale
e sono di saetta armata anch’io.
     Labro che in due coralli appar diviso
piacemi di baciare; e mio conforto
stimo libar le rose in un bel viso.
     Co’ miei susurri alle vigilie esorto;
e se l’uomo ferisco, e pria l’avviso,
delle ferite mie si lagna a torto.

XI

LA GRANATIGLIA

ossia fiore di passione

     Non piú lo stranio fior Pindo rammenti
che ’l nome avea d’un morto re descritto,
s’oggi l’indica pianta ha gli stormenti
della morte d’un re che cadde invitto;
     libro, dove stampâr fogli dolenti
il martirio crudel d’un dio trafitto,
e per narrar d’un dio gli aspri tormenti
vegetanti elegie natura ha scritto.
     Volle certo scolpir stelo architetto
la catastrofe qui del suo Fattore,
a scorno mio, che non la porto in petto.
     La tragedia d’un dio purgarmi il core
oggi potrá del piú smodato affetto,
poiché muto istrïone è fatto un fiore.