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giuseppe battista | 413 |
VIII
CONFESSIONE DI POETA
Scrivo talor che m’avviluppa un laccio,
narro talor che mi saetta un guardo;
ma favoloso è del mio sen lo ’mpaccio
e dell’anima mia mentito il dardo.
Crede altri giá ch’io ne’ martir mi sfaccio,
e che di fiamme in un torrente io ardo;
ma quel foco ch’io mostro è tutto ghiaccio,
e ’l martir che paleso anco è bugiardo.
Tra gli scherzi acidali onesto ho il core,
ed al garrir di questa penna giace
sordo il pensier, che non conosce amore.
Cantò Pale Marone e ’l dio del Trace,
né vincastro trattò, rozzo pastore,
né brando fulminò, guerriere audace.
IX
IL MANDORLO
Prima cura di Flora, occhio degli orti,
bella pompa del popolo frondoso,
che portando sul crin fregio odoroso
dell’esequie del verno annunzio apporti;
al tuo gaudio garrisce i suoi conforti
l’esercito pennuto armonïoso,
e, sciogliendo da’ ghiacci il suo riposo,
correr il fiume all’oceano esorti.
Fa’ mostra pur di tue bellezze altera,
ché mentre nel fiorir precorri a tutti,
porti la primavera a primavera.
Tu, mentre chiami il riso e scacci i lutti,
maestro sembri alla ramosa schiera
d’aprire i fior che son furier de’ frutti.