de’ tuoi grand’avi alle famose imprese;
essi per simil opre
non salir de la gloria all’erte cime,
ma perché su l’Oronte e sul Giordano
trofei piantâro e glorïosi e santi,
e di palme idumee cinser le chiome.
Lá t’invitan gli esempi,
ti chiaman lá quei generosi spirti
che nutri in sen, di nobil fama ingordi.
Non sa sperar altronde
che dal franco valor giusta vendetta
da tanti oltraggi e tanti
la sacra tomba. A servitú profana
tolta due volte l’ha gallico ardire:
or serba a la tua fronte il terzo alloro.
Vanne e ’n quel sacro marmo
con la tua spada intaglia
il titolo di giusto,
se poscia vuoi che si registri in cielo.
Tu, gran monarca ispano,
che di cento corone
gravi la fronte, al cui possente scettro
piú d’un mondo s’inchina,
che, se dal ciel scendesse
teco a partir l’impero
della mole terrena il sommo Giove,
piú da lasciar che da pigliare avresti;
tu, che quando il Sol nasce e quando more,
a lui presti la cuna, a lui la tomba;
a che dar loco a cosí bassa cura,
fra i tuoi vasti pensieri,
di creder che t’importi
ch’un piú ch’un altro regga
ne’ lombardi confin poche castella,
sí che tutti i tuoi fulmini apparecchi
contro il signor di Manto