cosí tenero affetto;
un’orrida pietá mista di sdegno
tempri le corde al mio canoro legno.
Veggo da’ fonti uscite
del torbido Acheronte
errar crinite d’angui
per l’italico ciel le Furie ultrici.
L’una, pallida, asciutta,
l’ossa a pena ricopre
con pelle adusta, e le canine fauci
con radici satolla, ed a se stessa
i morsi non perdona,
e falce orrida stringe
con cui disperde l’immatura mèsse.
L’altra, tutta stillante
di caldo sangue, il nudo ferro impugna,
e lo sdegno ha negli occhi,
gli oltraggi nella lingua,
nella fronte il disprezzo, in man la morte.
La terza atro veneno
vomita da la gola,
ch’ovunque passa impallidisce il suolo
e d’orrido squallor l’aere ingombra;
e di vive ceraste
scuote una sferza, ai cui tremendi fischi
sbigottisce l’ardire, ed ella intanto
con orribil trïonfo
sui monti de’ cadaveri passeggia.
Perché il timor de’ numi
impari ogni mortale,
questo drappel feroce
quasi in un’ampia scena
negl’italici campi
fa di se stesso portentosa mostra.
Chi può con occhio asciutto
a spettacol sí fiero