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ciro di pers | 391 |
acciò tu di gran corde armi la lira,
da trarne forti e generosi accenti,
atti a destar ne l’avvilite genti
nobil vergogna e vie piú nobil ira.
XXVII
LE CALAMITÀ D’ITALIA
Chi mi toglie a me stesso?
qual novello furor m’agita il petto?
chi mi rapisce? Io seguo ove mi traggi,
io seguo, o divo Apollo,
o vuoi per l’erte cime
del tessalico Pindo,
o su l’amene balze
del beato Elicona,
o lungo i puri gorghi
dell’arcado Ippocrene,
o presso i sacri fonti
di Permesso, Aganippe, Ascra e Libetro.
Ecco la cetra a cui marito i carmi,
che d’ogni legge sciolti
van con libero piede
a palesar d’un cor libero i sensi.
O de l’idalie selve
temuto nume, s’io rivolgo altrove
lo stil ch’a te sacrai, che d’altro a pena
seppe mai risuonar che de’ tuoi vanti
e di colei del cui bel ciglio altero
formasti l’arco a saettarmi il petto,
tu mi perdona ed ella;
le mie querule note
non parleran d’amore.
Lungi da me, deh, lungi