dove il roco latrato
s’ode di Scilla infame, e di Cariddi
s’aprono le voragini profonde,
entrammo ove a le falde di Peloro
de la bella Messana
con ampio giro si dilata il porto,
che da moli superbe intorno cinto
toglie all’antiche meraviglie il vanto.
Corsero obedïenti
e in ordin lungo s’adattâro i marmi
ai regi cenni tuoi, gran Filiberto,
della cui stirpe al nobil scettro antico
inchinan l’Alpi le superbe fronti.
Dopo qualche dimora
di lá partendo, la felice piaggia
di Trinacria si scorse,
da quella parte che del Sol nascente
esposta giace al redivivo raggio.
Qui vidi Etna fumante
dal cavernoso seno
vomitar, esalar fiamme e facelle;
maraviglioso mostro in cui si scorge
l’ardor unito al gelo,
ché di mezzo alle nevi
sorgon gl’incendi e le solfuree vampe
lambendo van le gelide pruine.
Trascorso poi de’ catanesi il suolo
e di Megara, fummo
a questi un tempo sí felici lidi
di Siracusa, e poscia ove Pachino
frange i cerulei flutti;
e lasciatolo a tergo,
di Malta entrammo il sospirato porto,
mèta de’ lunghi e travagliosi errori.
In cotal guisa errante peregrino
cerco fuggir dall’amorose cure;